Al Sud del Mondo con Eugenio Bennato

Pasquale Di Lascio

Esmuc 2019-2020

 

Eugenio Bennato (Napoli16 marzo 1948) è un cantautore e musicista italiano.

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Fa parte della scuola di cantautori napoletana assieme ai due fratelli Edoardo e Giorgio, a Pino DanieleTony EspositoAlan Sorrenti ed altri.

 

Carriera

Laureato in fisica,[1] è uno dei fondatori della Nuova Compagnia di Canto Popolare (1969) e dei Musicanova (1976) insieme a Carlo D’Angiò. È autore di diverse colonne sonore tra cui quella dello sceneggiato televisivo L’eredità della priora (1980), tratto dall’omonimo romanzo di Carlo Alianello, e La stanza dello scirocco, per la quale vinse nel 1999 il Nastro d’argento per la miglior colonna sonora.

Ottiene due successi commerciali nel 1986 con il brano «Sole sole» (presente anche nella colonna sonora del film Rimini Rimini) e, soprattutto, nel 1989 con «Le città di mare», cantata in coppia con il fratello Edoardo.

Nel 1990 partecipa al Festival di Sanremo assieme a Tony Esposito con Novecento aufwiedersehen. Successivamente torna alla sperimentazione e la ricerca nel campo della musica popolare del sud abbandonando per qualche anno le ribalte nazionalpopolari.

Nel 1998 fonda il movimento Taranta Power con l’intento di promuovere la Taranta attraverso musica, cinema e teatro. Nel 1999 esce l’album omonimo: Taranta power. Compie una tournée internazionale lo stesso anno (chiamata Taranta Power) nell’est EuropaBelgradoSarajevoRagusa (Croazia)TallinnVarsaviaPragaPristinaSkopje.

Tra il 2000 e il 2001 pubblica: Lezioni di tarantella e Tarantella del Gargano, raccolte di tarantella meridionale. Nello stesso periodo inizia la tournée italiana Lezioni di tarantella. Anche in questi anni effettua una tournée all’estero: MaroccoTunisiaCanadaAustraliaArgentinaU.S.A.SpagnaFrancia e Algeria. In quell’anno fonda a Bologna la «Scuola di Tarantella e danze popolari del Mediterraneo», prima scuola in Italia con lo scopo di recuperare, studiare e divulgare i balli popolari del sud Italia.

Nel giugno 2002 esce l’album Che il Mediterraneo sia. Parte così per una tournée internazionale nell’estate 2002 conclusasi in Egitto nel 2004 al Festival del Cinema egiziano all’Opera del Cairo.

Partecipando anche al Festival de Brugges in Belgio, al Festival di Norimberga in Germania, al Festival di Salamanca e Villanova in Spagna, il B.B.C. Chappel Union in Gran BretagnaFestival du vent in Corsica e al Roman Forum di Shanghai in Cina.

Eugenio Bennato e suo fratello Edoardo hanno realizzato la colonna sonora del cartone animato «Totò Sapore e la magica storia della pizza» uscito nel Natale del 2003. Questo diede luce al musical Pizza story con una tournée italiana nell’estate 2004.

Eugenio ha partecipato alla creazione delle musiche de Il padre delle spose, film andato in onda su Rai 1 il 20 novembre 2006.

Eugenio ha insegnato nel 2006 al Laboratorio di Etnomusicologia presso l’Università degli studi Suor Orsola Benincasa di Napoli.

Il 20 aprile 2007 è uscito l’album dal titolo Sponda sud, interamente composto da brani inediti. Ha collaborato, inoltre, al disco Evoluzione dei Demonilla.

In merito a Sponda sud Bennato ha dichiarato:

«Questo nuovo lavoro è un prosieguo del percorso precedente, è un allargamento dell’orizzonte mediterraneo a più lontane latitudini, e in particolare alla intensa e misteriosa Africa, dove colloco una mitica sponda che custodisce la fonte di tutte le leggende, e il segreto di un suono battente primitivo che attraverso deserti e mari viaggia e si diffonde e arriva fino a noi, fino alle nostre sponde, che risuonano così di antiche tammorre e chitarre, nelle campagne ricche di arte e di cultura. Da Napoli al Gargano alla Calabria quelle voci quelle melodie e quei balli mi portano ad Algeri, a Orano a Casablanca, e poi più in là al Cairo, in Etiopia, in Mozambico. Ogni tappa è una scoperta e un riconoscimento, lungo il filo di un’emozione e di un’idea, in un percorso alternativo rispetto alla devastante logica del business e dell’appiattimento globalizzante, contro la quale silenziosamente combattono i tamburi di ogni villaggio»[2]

Torna al Festival di Sanremo 2008 con il brano Grande Sud, piazzandosi al decimo posto.

Di recente, durante una trasmissione radio, si è dichiarato favorevole all’esperanto, la lingua ausiliaria internazionale neutra per evitare la scomparsa delle lingue e dialetti delle varie nazioni sotto il peso dell’inglese[3].

Nel 2011 pubblica l’album Questione meridionale.

Nel settembre 2011 ha ricevuto il premio artistico culturale e musicale Armando Gill.[4]

Del 2015 è Canzoni di contrabbando, in cui reinterpreta sue canzoni già pubblicate; l’album contiene anche un inedito.[5]

Il 20 ottobre 2017 esce il suo ultimo lavoro dal titolo «Da che Sud è Sud«.

Sempre nel 2017 scrive “Qualcuno sulla terra – canzoni inedite sulla natività”, un corale a sei voci e con la partecipazione di Pietra Montecorvino e delle Voci del Sud, rappresentato in ambienti ecclesiastici in occasioni delle festività religiose.

Ne fa seguito un tour teatrale in tutt’ Italia e sei prestigiose date nelle maggiori capitali nordafricane: Rabat, Cairo, Tunisi, Algeri, Orano, Tangeri (marzo 2018).

Il 1º settembre 2018 riceve a Bisignano, in provincia di Cosenza, la cittadinanza onoraria, in quanto identificato come «uno dei cantautori che più ha contribuito alla diffusione nel mondo dell’arte liutaia della chitarra battente”, tradizione molto antica della cittadina cratese portata avanti dalla famiglia De Bonis.[6]

È invitato dal Parlamento Europeo di Bruxelles a suonare in occasione della giornata dedicata ai diritti umani (novembre 2018).

Il 1º dicembre 2018 festeggia i vent’anni di Taranta Power con un grande festival in piazza del Plebiscito, Napoli, con ospiti i grandi maestri della Taranta e tre grandi voci femminili del sud a reinterpretare brani popolari: Arisa, Dolcenera, Pietra Montecorvino.

 

STUDI

Eugenio Bennato ha conseguito la laurea in fisica presso l’Università degli Studi di Napoli «Federico II». Dopo la parentesi con la Nuova Compagnia di Canto Popolare svolge un apprendistato al seguito di Andrea Sacco e la sua chitarra battente, di seguito nel 1976 costituisce il suo nuovo gruppo, i Musicanova, e pubblica Garofano d’ammore il suo primo LP (Philips), in cui con un ispirato Carlo D’Angiò omaggia la musica di Carpino (Italia) riproponendone i tre stili:

Montanara, traccia 2 del Lato A

Rodianella, traccia 4 del Lato A

Viestesana, traccia 2 del Lato B

Eugenio Bennato a questo punto parte per un lungo tour che lo porterà in tutte le piazze italiane e all’estero.

Discografia

Nuova Compagnia di Canto Popolare

Album in studio

1971 – Nuova Compagnia di Canto Popolare (Rare, RAR LP 55011; ristampato nel 1975 dalla Dischi Ricordi con il titolo cambiato in Lo Guarracino, SMRL 6151). Elaborazioni R. De Simone e NCCP (Bennato, Mauriello, Barra, Trampetti, Vetere, D’Angiò)

1972 – Nuova Compagnia di Canto Popolare (Rare, RAR LP 55015/55016; album doppio, ristampato nel 1976 dalla Dischi Ricordi nella serie Orizzonte diviso in due album separati ed intitolati Cicerenella, SMRL 6152 e La serpe a Carolina, SMRL 6153). Elaborazioni R. De Simone e NCCP (Bennato, Mauriello, Barra, Trampetti, Vetere, Areni)

1973 – NCCP (EMI Italiana, 3C064-17900). Elaborazioni R. De Simone e NCCP (Bennato, Mauriello, Barra, Trampetti, Vetere, Areni).

1974 – Li Sarracini adorano lu sole (EMI Italiana, 3C064-18026). Elaborazioni R. De Simone e NCCP (Bennato, Mauriello, Barra, Trampetti, Vetere, Areni).

1975 – Tarantella ca nun va ‘bbona (EMI Italiana, 3C064-18133). Elaborazioni R. De Simone e NCCP (Bennato, Mauriello, Barra, Trampetti, Vetere, Areni).

Musicanova

Album in studio

1977 – Garofano d’ammore (Philips Records)

1978 – Musicanova (Philips Records)

1979 – Quanno turnammo a nascere (Canzoni sulle quattro stagioni di Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò) (Philips Records)

1981 – Festa festa (Fonit Cetra)

Colonne sonore

1980 – Brigante se more (Philips Records) (dallo sceneggiato televisivo L’eredità della priora di Anton Giulio Majano)

1993 – Teste Rasate di Claudio Fragasso

Eugenio Bennato[modifica | modifica wikitesto]

Album in studio

1983 – Eugenio Bennato (CGD)

1986 – Eughenes (Bubble Record, BLULP 1823)

1989 – Le città di mare (Bubble Record, BLULP 1830)

1991 – Novecento auf Wiedersehen (Bubble Record, BLULP 1832)

1997 – Mille e una notte fa

1999 – Taranta power

2001 – Che il Mediterraneo sia

2004 – Da lontano

2007 – Sponda Sud

2008 – Grande Sud

2011 – Questione meridionale

2015 – Canzoni di contrabbando

2017 – Da che Sud è Sud

Colonne sonore

1982 – Domani si balla! di Maurizio Nichetti

1984 – Dulcinea (con Carlo D’Angiò) dal film Don Chisciotte di Maurizio Scaparro

1989 – Cavalli si nasce (con Carlo D’Angiò) dall’omonimo film di Sergio Staino

1989 – La sposa di San Paolo di Gabriella Rosaleva, musiche di Carlo D’Angiò ed Eugenio Bennato

1993 – Teste Rasate di Claudio Fragasso

1998 – La stanza dello scirocco di Maurizio Sciarra

2003 – Totò Sapore e la magica storia della pizza (con Edoardo Bennato)

2006 – Il padre delle spose film TV di Lodovico Gasparini

Raccolte

2000 – Lezioni di tarantella

2010 – Eugenio Bennato collection

Gli importanti flussi migratori che hanno interessato l’Europa tutta e in particolare il Meridione italiano negli ultimi anni hanno reso Napoli, vivace metropoli mediterranea, una città transculturale, riferendoci con ciò al concetto di Transkulturalität proposto da Welsch intorno agli anni Ottanta del Novecento allo scopo di illustrare una società sempre più globalizzata e ibrida come quella odierna. Punto fondamentale nel concetto welschano di transculturalità è l’idea di Hybridisierung, ibridazione. Superato il modello separatista di Herder2 , così come i concetti di multiculturalità e di interculturalità3 , le società odierne appaiono ormai prive di barriere: il libero mercato, la libera circolazione di merci e persone, nonché gli imponenti fenomeni migratori degli ultimi anni hanno notevolmente contribuito a creare una realtà globalizzata, prodotto di una viscerale fusione fra elementi diversi. Per ibridazione si intende, quindi, il fatto che nelle società di oggi le diverse culture non possano differenziarsi in maniera netta, dal momento che i loro elementi costitutivi hanno radici comuni: “Zeitgenössische Kulturen sind generell durch Hybridisierung gekennzeichnet. Für jede einzelne Kultur sind tendenziell alle anderen Kulturen zu Binnengehalten oder Trabanten geworden. Das gilt auf der Ebene der Bevölkerung, der Waren und der Information.” (Welsch 1997, 72) Ciò non significa, però, che non esista più un fattore ‘locale’, bensì che nel processo transculturale il locale e il globale si fondano: Das Transkulturalitätskonzept […] vermag sowohl den globalen wie den lokalen, den universalistischen wie den partikularistischen Aspekten gerecht zu werden, und es tut beides ganz selbstverständlich gemäß der Logik der transkulturellen Prozesse selbst. Sowohl Globalisierungswünsche als auch ein Bedürfnis nach Spezifität können innerhalb der Transkulturalität erfüllt werden. (Welsch 1997, 80) La cultura napoletana, in particolare quella degli ultimi trent’anni, sembra rispondere perfettamente a queste caratteristiche, apparendo come il risultato della fusione tra local e global, fra tradizione e innovazione. Lo stesso può dirsi per la musica, la quale sfrutta la contaminazione fra generi differenti per descrivere e fotografare i cambiamenti sociali della città e il percorso di integrazione e accoglienza che essa ha intrapreso negli ultimi anni. Sin dalla sua fondazione, Napoli è stata profondamente influenzata da culture diverse: se analizzata in un’ottica transculturale, la cultura partenopea appare come il prodotto di intersezioni fra le varie dominazioni che nel corso del tempo si sono susseguite, contribuendo alla costruzione della sua identità. L’aspetto transculturale appare tanto più vero se si volge lo sguardo alla musica napoletana, profondamente debitrice di apporti culturali esterni e connessa con le altre realtà musicali mediterranee: I melismi e i microtoni, così centrali nelle tonalità lamentevoli della voce napoletana, forse hanno un debito più verso le scale musicali del maqám arabo (tono modale) che verso i parametri strutturati dell’armonia europea. In questa ‘musicalità mediterranea’, la canzone napoletana, con il suo pathos urbano e la sua marginalità recitata, è consanguinea musicale del flamenco di Siviglia e del fado di Lisbona, ma anche dei suoni del Mediterraneo orientale proposti nel rebetiko di Atene e nell’orchestrazione moderna della fondamentalmente improvvisata, musica ughniyna del Cairo (notoriamente associata alla voce di Oum Kalthoum) e, più recentemente nel raï algerino. (Chambers 2007, 48) A partire dal secondo dopoguerra, inoltre, i profondi cambiamenti socio-culturali di cui è oggetto la città favoriscono un contatto sempre più profondo anche con generi provenienti da Oltreoceano, come il reggae, il blues, il dub. Il motivo di queste contaminazioni non è da ricercarsi quindi solo ed esclusivamente nella volontà dell’industria discografica contemporanea di inserire un prodotto ormai di nicchia, quale la canzone dialettale napoletana, in un circuito sicuramente più grande come quello della world music, rendendola in questo modo molto più commercializzabile. Se infatti esiste un ‘fattore commerciale’, è anche innegabile che queste progressive commistioni ATeM 4,2 (2019) 3 Corinna SCALET “Concerto senza frontiere”: il Sud del mondo si ritrova a Napoli musicali siano dovute a fattori artistici, storici e sociali, vale a dire alla volontà di fotografare e descrivere, attraverso la canzone, i cambiamenti della società napoletana odierna. Parlando a proposito del nuevo flamenco spagnolo Steingress sostiene che la maggior parte della musica etnica abbia una dimensione artistica e un fine estetico-culturale solo parzialmente dipendenti dal processo di produzione musicale e che non si possa per questo definirla come folklore globalizzato, bensì la si debba considerare come un prodotto transculturale (cf. Steingress 2004). Quanto sostenuto da Steingress sembra valere anche per la musica napoletana. Il bagaglio musicale popolare napoletano è stato ed è tuttora rielaborato, combinato, contaminato, nel tentativo di non perdere il folklore ma di riutilizzarlo alla luce della mutata situazione culturale e tecnologica. In altre parole, spiega Goffredo Plastino a proposito degli Almamegretta (ma questo discorso vale per molti altri musicisti), “dalla tradizione si può prendere ciò che più piace, soprattutto ciò che può essere riformulato in un linguaggio contemporaneo” (Plastino 1996, 86). L’intento è quello di uscire da una cultura monolitica per crearne un’altra, più ricca, più complessa e più globale: attraverso una sua progressiva fusione di elementi diversi, la musica riesce quindi nell’arduo compito di avvicinare e unire realtà diverse ma vicine che “vengono poste in relazione in uno spazio extraterritoriale, in cui le tradizioni vanno in frantumi per divenire la sede di traduzioni continue. Tutto ciò rappresenta una rottura e, al contempo, lo svecchiamento di un retaggio.” (Chambers 2007, 50) Sulla base teorica dei concetti di transculturalità (Welsch) e di ‘Sud del mondo’ (Cassano, Chambers), l’articolo si propone di descrivere, attraverso un percorso tematico-musicale, la Napoli odierna, capitale musicale e culturale di un grande Sud mediterraneo di cui condivide i valori e la storia, nonché metropoli moderna fondata sulla fratellanza e sulla diversità intesa come ricchezza culturale. Nella prima parte dell’articolo si analizzeranno due temi ricorrenti nella canzone napoletana degli ultimi trent’anni, cioè l’origine comune e l’attitudine alla resistenza dei popoli del Sud del mondo come elementi di vicinanza transculturale. Si passerà, poi, all’analisi dell’immagine del Mar Mediterraneo, di cui Napoli è presentata come capitale musicale. Infine, si focalizzerà l’attenzione sulle tematiche dell’integrazione e dell’accoglienza, che sono divenute ricorrenti negli ultimi anni, soprattutto a seguito delle ondate migratorie che hanno interessato il territorio napoletano. Il corpus analizzato è composto da 15 canzoni di artisti diversi e copre un arco temporale che va dal 1993 fino al 2017. La maggioranza delle canzoni sono in dialetto napoletano, elemento che ha sicuramente un forte valore identitario4 ; in numerosi brani qui presi in analisi si nota, inoltre, il ricorso al plurilinguismo, cioè all’uso di una o più lingue oltre al dialetto napoletano e/o all’italiano. Le canzoni selezionate appaiono, dal punto di vista musicale, come un prodotto composito, profondamente influenzato da sound non napoletani, quali il reggae e il dub, o da sonorità arabe o africane; inoltre numerose sono le collaborazioni con artisti africani e mediorientali. La raccolta di brani scelti per questo articolo può essere vista, quindi, come un tipico esempio di world music, la cui ibridità appare funzionale anche e soprattutto alla descrizione di questa nuova Napoli, culla di una civiltà transculturale.

Musiche dal Mediterraneo

 Il Sud d’Italia, frontiera di un’Europa che si apre verso il mondo, si trova al centro di un mare dalle numerose valenze simboliche, punto d’incontro di tre continenti diversi, delle tre grandi religioni monoteiste. Se, come si è detto, l’emarginazione del Sud Italia “è l’altra faccia dell’emarginazione del Mediterraneo” (Cassano 2000, 58), il suo ruolo periferico si trasforma in centralità se viene considerato appunto nell’ottica mediterranea. Attraverso un cambio di prospettiva radicale la periferia diviene centro di un nuovo universo, anzi di un multiuniverso che raccoglie più identità e le combina, producendo quindi qualcosa di ibrido e unico. In questo contesto anche la musica gioca un ruolo fondamentale: essa non conosce frontiere, anzi le abbatte. La musica “rivela un’altra prospettiva, in cui i suoni errano senza la nevrosi della ricerca di un’identità omogenea. Seguire la scia di un suono, piuttosto che le prescrizioni delle identità imposte, dischiude una storia decisamente più intricata e una gamma più ampia di possibilità inedite” (Chambers 2007, 49). In questo senso la musica sembra contribuire al processo transculturale intrapreso nel Mediterraneo, il quale “diviene un’elaborata cassa di risonanza in cui la migrazione della musica suggerisce storie e culture che si esprimono a chiara voce, e che sondano il terreno, trasformandosi e tramutandosi a vicenda” (Chambers 2007, 51). La metanarrazione della dimensione transculturale della musica è uno dei nuclei tematici che si ritrovano nella produzione discografica napoletana recente: è musica che parla di musica, esaltandone il potenziale antirazzista e pacificatore. Nelle canzoni analizzate il ‘Mediterraneo musicale’, con le sue sonorità molteplici ma spesso simili, si ritrova a Napoli, che ne diviene così la capitale musicale, punto di incontro tra l’est e l’ovest, tra il nord e il sud. Nelle ballate di Eugenio Bennato, il quale ha dedicato parte della sua carriera alla riscoperta delle tradizioni popolari musicali mediterranee, tema ricorrente è proprio quel Mar Mediterraneo, definito dal cantante come un “luogo di frontiera che pone l’Europa di fronte a una scelta di civiltà” (Fiocchi, 2016).

 

 In “Che il Mediterraneo sia” (2002) l’immagine del mare nostrum è quella di una casa aperta a tutti, di una patria comune basata sulla tolleranza religiosa e linguistica, come si riscontra nei versi qui riproposti: Nel testo viene espresso il desiderio che il Mediterraneo, che purtroppo sempre più spesso “looks more like a military zone than a happy place or a lab for new and inclusive political practices” (Gjergji 2015, 155), divenga un luogo di pace e tolleranza. Nel mare polilinguistico e polireligioso cantato da Bennato non esistono né migranti né pirati ma soltanto marinai. Si passa così ad una raffigurazione estremamente positiva di chi viaggia attraverso il Mediterraneo, la figura del marinaio-viaggiatore che si sposta di luogo in luogo per arricchire e arricchirsi culturalmente:

 “E nisciuno è pirata / e nisciuno è migrante / simme tutti naviganti” (“E nessuno è pirata / e nessuno è emigrante / siamo tutti naviganti”). Nella canzone di Bennato la diversità culturale dei popoli che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo non diviene diversità identitaria, come spiegano i versi “Andare, andare, / simme tutti uguale / affacciati alle sponde dello stesso mare” (“Andare, andare, / siamo tutti uguali / affacciati alle sponde dello stesso mare”). La musica mediterranea, in cui la melodia napoletana si fonde ai “tamburi dell’Algeria”, è il prodotto dell’interazione fra culture diverse, strumento ulteriore di legame per i popoli del Mediterraneo. Il brano, una vivace tarantella Che il Mediterraneo sia la fortezza ca nun tene porte addo’ ognuno po’ campare d’a ricchezza ca ognuno porta ogni uomo con la sua stella nella notte del dio che balla e ogni popolo col suo dio che accompagna tutti i marinai e quell’onda che non smette mai che il Mediterraneo sia Che il Mediterraneo sia la fortezza che non ha porte dove ognuno può vivere della ricchezza che ognuno porta ogni uomo con la sua stella nella notte del dio che balla e ogni popolo col suo dio che accompagna tutti i marinai e quell’onda che non smette mai che il Mediterraneo sia contaminata da sounds africani, è contraddistinto da un uso alternato di più lingue (italiano, francese, arabo, napoletano), a voler raffigurare sonoramente anche la ricchezza linguistica mediterranea.

 

 

Nella più malinconica “Sponda Sud” (2007) l’influenza di sonorità africane e mediterranee, chiaramente espressa a livello testuale, trova conferma anche a livello musicale. Contraddistinto dall’alternanza di enunciati in italiano, dialetto napoletano, portoghese ed etiope (nel coro), il brano è il racconto di un metaforico viaggio intrapreso dal cantautore attraverso il continente africano alla ricerca dei tesori e delle origini del grande Sud (si ripropone qui solamente l’originale, in cui si nota un unico enunciato in dialetto napoletano): Che me fa fa’ st’ammore la grande Africa attraversare dalle sorgenti fino al mare per ritrovare tra quella gente il Sud di tutte le leggende per ritrovare la bellezza e dissetarsi e ripartire per una sponda ancora da scoprire Il risultato di questo viaggio è un incontro di suoni mediterranei che emergono all’unisono nella tradizione musicale partenopea, che accoglie un “concerto senza frontiere” multietnico e transculturale “di voci bianche e di voci nere”.

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